Invio queste poche righe per esprimere la mia gratitudine. Offrire dignità a una morte è nobile quanto salvare una vita. L’anima bella di mia madre è tornato al Padre. L’abbiamo accompagnata insieme; per due lunghissimi mesi ho avuto il privilegio delle vostre attenzioni della vostra delicatezza, della vostra grande professionalità. Lei pretendeva da me la sua stessa forza, io, disperata, non ce la facevo. Grazie a voi mi sono sentita meno sola, meno impaurita.
Giuseppina, certamente, si è conquistata da sé la sua pace, grazie alla serenità, alla fede, al grandissimo coraggio; ma sono certa però che la vostra presenza discreta e rispettosa, le vostre cure e le vostre attenzioni facciano anch’esse parte di quella conquista. A me, dolente, resta il ricordo di mia madre, persona stupenda e di quei due mesi trascorsi in ospedale nella paziente attesa dell’ultimo evento: “aspettare la morte è come aspettare un figlio” mi aveva detto un giorno.
Voi, continuate così nel vostro bellissimo e difficile mestiere! Stringo col pensiero le vostre mani e ringrazio tutti: i medici, gli infermieri, la psicologa, l’assistente sociale e tutto il personale del reparto.
Forse perché ho vissuto personalmente la grande differenza tra la perdita improvvisa di una persona
cara (la madre nel mio caso) e la morte annunciata, da cancro, lenta e lungamente preparata dell’altro genitore, mi sono spesso chiesto quale dei due tipi di morte poteva essere preferibile e quale, al limite, ci si potesse augurare anche per se stessi passare dalla vita in piena salute al nulla; considerando la morte da cancro troppo carica di sofferenza e di angoscia proprio perché annunciata e vissuta per lungo tempo.
Personalmente faccio fatica a considerare preferibile un tipo di morte che d’improvviso taglia tutti i fili con il vissuto precedente, con i famigliari e con gli amici; che lascia un terribile senso di impotenza in chi rimane, un vuoto improvviso che può essere ancora più difficile da colmare rispetto a quello a cui ci si può preparare.
Voglio ricordare i tanti casi di giovani che sono usciti di casa contenti e pieni di vita e non sono più tornati perché morti in incidenti stradali senza la possibilità di un abbraccio, senza il tempo per una carezza da parte di chi li amava.
Oppure il caso della morte acuto e rapidissima per infarto di un uomo, che fece scrivere alla figlia questa parole”mi è rimasta l’angoscia di non aver potuto parlare a mio padre negli ultimi momenti della sua vita: avrei voluto essere li per ringraziarlo di tutto, dei giochi fatti insieme, delle risate, del tempo dedicatomi, della felicità di esistere, dell’abitudine sua, diventata anche mia, a pensare tutto possibile con l’impegno e la determinazione. La sua morte è stata così rapida e io non ero lì.
Devo ammettere che non trovo nulla di buono in qualsiasi modo di morire, però non riesco a considerare la morte improvvisa come la migliore e la meno traumatizzante.
Ho assistito, in questi due anni di attività dell’Hospice, a molte morti di persone circondate da famigliari e amici che fino all’ultimo hanno parlato con il morente e lo hanno salutato al momento della fine. Faccio fatica a definirla una morte serena, ma certo la considero una morte più umana.
Ai medici agli Infermieri, ai volontari e a tutto il personale dell’Hospice Siro Mauro
A due mesi dalla morte di mia madre vi mando questi pochi pensieri per manifestarvi la mia stima e gratitudine. Mia madre era una donna meravigliosa con tanta voglia di vivere. La malattia che le è stata diagnosticata era incurabile e la prognosi di sopravvivenza pessima, tuttavia noi familiari nutrivamo la speranza in un miglioramento, anche se la scienza medica lasciava ben poco margine a questa possibilità.
Dopo un ‘operazione, una serie di cure ed un periodo di assistenza fatta in casa da noi familiari digiuni da qualsiasi conoscenza infermieristica, l’evoluzione della malattia ci ha costretto ad un nuovo ricovero.
La prospettiva era quella di un trasferimento al reparto di cure palliative Hospice “Siro Mauro” e questa tesi mi spaventava molto.
Era quello che stavamo facendo la cosa giusta (purtroppo la malattia che stava uccidendo mia madre non le consentiva di esprimere la propria volontà su quello che stava succedendo)? Era il modo giusto per starle a fianco oppure era solo lasciarla al suo destino? Siamo stati da voi circa un mese prima di riportarla a casa dove è venuta a mancare alcuni giorni dopo la dimissione dall’Hospice. In questo periodo di degenza ho avuto il tempo ed il modo di darmi queste risposte.
In un momento così difficile della sua vita e così drammatico per noi familiari, nel vostro reparto mia madre ha avuto tutte le cure e le attenzioni che noi da soli a casa, non avremmo sicuramente saputo darle. La vostra struttura ci ha permesso di starle vicino in ogni momento e ci ha consentito di accompagnarla in questo ultimo tratto della sua vita terrena, non sentendoci allo sbaraglio, ma potendo appoggiarci alle vostre cure, alla vostra capacità ed esperienza. Ho visto in quale modo e con quanta umanità svolgete il vostro importantissimo compito. Ho potuto ricredermi anche sul senso di cure palliative che prima di conoscere la vostra realtà pensavo fossero quelle “che non servono più a nulla’ (credo che questo equivoco sia abbastanza comune in un mondo dove siamo colpiti ogni giorno dai mirabolanti progressi della scienza medica, che ci allontanano il senso della morte e della sofferenza fino a quando non siamo costretti a farci i conti).
Adesso penso che mia madre mi guardi dal cielo, e a me rimarrà il prezioso ricordo di un ‘ultima carezza e di un ultimo sorriso che ho avuto la fortuna di ricevere alcuni giorni prima della sua morte. Un grande grazie a tutti voi per il vostro prezioso lavoro ed un incoraggiamento a proseguire nella vostra tanto difficile e tanto importante missione.
Vorrei ringraziare tutti per averci invitato a condividere con voi, domenica 11 dicembre, la S Messa (…) in ricordo di tutti i nostri cari (…).
Vorrei condividere con voi un pensiero che mi è nato ascoltando la preghiera dei fedeli quando avete pregato: “per chi non ce l’ha fatta”. In questo modo dove da una parte la mente ci viene bombardata da immagini quotidiane di guerre, devastazioni, persone che muoiono di fame e freddo, terremoti, alluvioni omicidi nelle famiglie, suicidi, dall’altra incontriamo persone che alla vista di un carro funebre o un funerale “toccano ferro” come se il ferro potesse fermare la morte!
Io ringrazio perché mia mamma è tornata a Dio nella sua dignità di persona, donna, cristiana, ammalata.
C’è un momento nella vita in cui incontriamo inevitabilmente la morte; mia madre che desiderava morire a casa sua con i suoi familiari, ha potuto morire serenamente attorniata da noi e da voi che l’avete aiutata ed amata, pur in ospedale, ma nella dignità che merita ogni persona.
Questa per me è la realtà più profonda e bella, in un momento triste qual è il distacco dalla persona che mi ha dato la vita. Continuate ad amare quanti hanno bisogno di voi perché alla fine di tutto ciò che veramente conta, ciò che vale è l’amore, la carità. (…)
(da lettere di ringraziamento inviate ai Reparti o pubblicate sui giornali)
“…non mi abbandonava l’idea di portare mamma in un reparto in cui la degenza presuppone comunque la fine di tante aspettative (…). La realtà è stata ben diversa. Il personale medico, le infermiere, i volontari, gli operatori e chiunque fa parte dell‘èquipe, sono semplicemente degli angeli. (…) Hanno costantemente monitorato mamma, anche nelle più piccole esigenze, ci hanno consigliato, sostenuto, incoraggiato, consolato. (…) Ci rimarrà per sempre la consolazione di aver assistito mamma ora dopo ora, tenendole sempre la mano,accompagnandola con dolcezza e con tutto l’immenso amore che lei stessa ci ha donato per tutta la vita” da Morbegno
“Ai medici ed a tutto il personale infermieristico dei reparti di ematologia e cure palliative: un Grazie di cuore per le attenzioni e la sensibilità dimostrateci in questi mesi. Vi auguriamo di mantenervi sempre “dolci “, così come lo siete stati con Marco… “da Sondalo
“…Nel breve periodo di tempo in cui mio padre ha soggiornato all ‘Hopsice di Morbegno, abbiamo avuto modo di rivederlo sorridere (…). Grazie per l’aiuto fisico, psicologico, morale e spirituale avuto dal personale del Reparto… Siete persone straordinarie: sapete dare valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano; andate avanti quando gli altri si fermano, siete vigili quando gli altri dormono, ascoltate quando gli altri parlano; non lasciate passare un solo giorno senza portare un sorriso; convincete uomini e donne ad innamorarsi della vita…. Grazie a queste cose, mio padre ha superato la soglia del ‘infinito in modo dignitoso e nella più totale tranquillità, circondato dal calore dei suoi cari, dal affetti di casa sua e dal conforto di nuovi amici…”
“Grazie per esservi presi cura di noi, con competenza e comprensione. Per l’umanità con la quale ci avete accolti e seguiti. Per la partecipazione con la quale svolgete il vostro lavoro. Con stima profonda, … “(da Sondalo)
“Sono passati 15 giorni dalla morte di mia zia e solo ora, dopo momenti d comprensibile smarrimento e dolore, mi sento in dovere di ringraziare le varie persone che mi sono state vicine (…). Un ringraziamento per la vostra professionalità, ma soprattutto per l’umanità profuse nei tanti momenti delicati (…). E ‘stata un ‘esperienza intensa, dolorosa ma ricca di significato (…)
Come parroco, sono abituato ad incontrare ammalati e i loro famigliari. Questa volta però gli ammalati erano mio nipote Lorenzo e mio fratello Gianantonio, quindi anch’io ero un familiare assieme agli altri.
Sempre come sacerdote, seguo con passione le discussioni sul testamento biologico, l’eutanasia, il fine vita, ma da aprile a fine luglio 2009 il mio non è più stato un interesse astratto o professionale ma esperienza concreta che ha toccato mente e cuore.
Stare accanto ad un ammalato che sta vivendo gli ultimi giorni della sua vita (e anche se non lo da a vedere se ne rende conto eccome!) è duro, ma è anche un insegnamento stupendo.
Ti accorgi di chi è veramente l’ammalato ma anche di chi sei veramente tu; se sensibile o distratto; se altruista o chiuso nei tuoi piccoli interessi; se realista o illuso.
Ti accorgi che la vita è lo scorrere dei giorni da apprezzare sempre più proprio nel momento in cui ti sfugge di mano e la prospettiva del futuro si fa sempre più incerta; ti accorgi che devi vivere ogni momento con intensità d’amore e coglierlo come un dono; ti rendi finalmente conto che devi vedere ogni giorno come frammento di un puzzle che compone un disegno che al momento non comprendi e che capirai totalmente solo alla fine.
Qui entra in gioco la Fede che con la sua luce illumina l’oggi come continuazione del passato e passaggio al domani: anche oltre il dolore; anche oltre la morte del corpo.
Ma da soli non si può comprendere tutto ciò o per lo meno è molto più difficile.
Anche chi è credente, perfino chi è prete, ha bisogno di un amano amica; io e i miei familiari l’abbiamo trovata nell’esperienza vissuta presso l’Hospice di Sondalo visitando Lorenzo e Gianantonio, per stare accanto a loro e incontrare il Dott. Valenti, la sue equipe, e i volontari dell’Associazione Siro Mauro: tutte persone umane, gentili, sensibili.
Salire al secondo piano del secondo padiglione era sì incontrare la sofferenza ma anche incontrare chi la sofferenza la comprende e la accetta ancor prima di lenirla.
Qui l’ammalato è persona; stupenda è l’iniziativa di mettere il nome di ogni paziente su una targhetta colorata e ben visibile all’ingresso della stanza!
Sorprendente poi è stato trovare il clima di silenzio che caratterizza l’Hospice e lo differenzia da altre strutture ospedaliere; sei obbligato ad abbassare il tono della voce e se devi parlare è per dire ciò che conta di più; è comunicare con lo sguardo, con una stretta di mano, un cenno del capo, con un sorriso soprattutto.
Alla fine, quando Lorenzo prima ( aveva solo 42 anni con due figli ancora piccoli e, come da lui voluto e previsto, sepolto proprio il giorno del suo compleanno), e Gianantonio poi ( lui di anni ne aveva 54), sono stati chiamati dal Signore (infatti per chi crede la morte è una vocazione-chiamata: l’ultima!), l’unica parola che ti senti dire è “GRAZIE”.
Grazie buon Dio che si può vivere gli ultimi giorni di vita e morire serenamente così oggi in Valtellina; grazie al Dott. Valenti, Donato di nome e di fatto per tanti ammalati e i loro familiari; grazie ad ognuno dei tuoi stupendi collaboratori.
Come Martino soldato e futuro santo ha coperto con il suo mantello un povero intirizzito dal freddo, voi coprite la malattia del corpo e dello spirito.
E tutti, ammalati e chi li assiste, come la donna descritta dal Vangelo (cfr. Mt. 9,21), abbiamo bisogno di toccare il mantello di Gesù per essere da Lui guariti, salvati, perdonati: nel tempo e oltre il tempo presente.
Don Alfonso Rossi
Parroco di Chiesa in Valmalenco
P.S. Sto facendo conoscere questa mia esperienza a colleghi, parrocchiani, politici, medici, perché l’Hospice di Sondalo e Morbegno siano apprezzati e abbiano il riconoscimento che si meritano.